Florence Carboni
Da lunedì 22 a domenica 28 ottobre, si svolgerà la settima edizione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo. Nel 2001, Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale (organo interno al Ministero Affari Esteri - MAE) e Accademia della Crusca hanno lanciato quest'iniziativa con lo scopo di promuovere la lingua italiana su scala mondiale. Spesso quest'azione è criticata e vista come un evento ufficiale in più, caduto dal cielo, imposto dagli organi che dispongono del potere di decisione in materia di lingua. In quanto professionisti e futuri professionisti della lingua italiana, dovremmo cercare di capire cosa significa esattamente la promozione della lingua e della cultura di un paese come l'Italia, in modo da poter collaborare produttivamente ad azioni di questo tipo.
Da subito, andrebbe ricordato che, su iniziativa dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa, il 2001 – anno in cui è stata appunto istituita la "Settimana" – era stato dichiarato "Anno Europeo delle Lingue", al fine di favorire l'apprendimento del maggior numero di lingue da parte del maggior numero possibile di residenti UE. A tale progetto avevano partecipato 45 paesi membri, tra cui l'Italia, che per l'occasione aveva attivato una rete di istituzioni, pubbliche e private, come appunto la Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale, l'Accademia della Crusca, ma anche gli Istituti Italiani di Cultura, i Consolati, le Società Dante Alighieri, la RAI, il Ministero dei Beni Artistici e Culturali, le innumerevoli associazioni italiane sparse in tutto il mondo, le singole cattedre di italiano nelle università ecc.
Nel cercare di cogliere le diverse motivazioni di tali iniziative di promozione della lingua, non possiamo perdere di vista che la sorte dell'italiano a livello nazionale ed internazionale costituisce un elemento essenziale della posizione dell'Italia in quanto nazione sullo scenario internazionale, soprattutto in questi tempi di globalizzazione economica, politica, culturale e quindi tendenzialmente anche linguistica.
Il mercato delle lingue
Tra gli effetti linguistici della globalizzazione, c'è senz'altro la consolidazione dell'inglese in una posizione che il linguista francese Calvet [Le marché aux langues, 2002] chiama di "ipercentrale". L'inglese è una delle lingue più studiate e più tradotte al mondo, mentre tra i suoi parlanti nativi, si trova un numero relativamente basso di bilingui, giacché l'inglese è capito in tutto il mondo. Nella classificazione ideata da Calvet, l'italiano non è nemmeno tra le lingue cosiddette "supercentrali": davanti all'italiano, c'è il cinese, lo spagnolo, l'arabo, il portoghese, tutte lingue che hanno un considerevole numero di parlanti nativi e che costituiscono anche lingue dominanti nelle situazioni diglossiche di paesi ex-colonie, com'è il caso del portoghese in molti paesi africani, per esempio. Prima dell'italiano, c'è anche il francese, che sembra godere tuttora di un maggior prestigio a livello internazionale e che, nei grandi organismi internazionali, come l'ONU, occupa ancora un posto privilegiato.
Questo quadro geolinguistico non poteva lasciare indifferenti le autorità governative italiane coinvolte nella politica e nella pianificazione linguistiche. E nemmeno il fatto già menzionato che il predominio dell'inglese a livello mondiale, spesso presentato come ineluttabile e funzionale, rappresenta in realtà un pericolo per la configurazione geopolitica mondiale, per l'integrazione ed il progresso armoniosi dei popoli, ma anche e soprattutto, direi, per l'affermazione delle nazioni che parlano lingue considerate minoritarie e perfino, per rifarci alla classificazione di Calvet, lingue centrali come l'italiano.
La discussione non riguarda l’inglese in sé, in quanto lingua, bensì le conseguenze sociolinguistiche di una politica che chiameremo imperialistica, da parte di nazioni che hanno appunto l'inglese come lingua dominante. Va ricordato che in altri tempi, altre lingue hanno occupato il posto occupato oggi dall'inglese. Inoltre, un dibattito sano su questioni di politica linguistica deve anche prescindere da considerazioni di carattere etnico-sentimentalistico, come vorrebbe una certa ecologia linguistica, anche perché, in materia di lingua, dobbiamo spesso arrenderci alla realtà dell'ineluttabile evoluzione storica. Ciò che deve contare in ultima analisi è lo sviluppo armonico di ogni popolo e di ogni ceto sociale.
Lingua, scienza, cultura
Uno degli elementi più preoccupanti dell'attuale processo di globalizzazione linguistica è che tende a ridurre la circolazione della produzione scientifica, letteraria, artistica di alcuni popoli – quelli appunto che parlano lingue non dominanti – e quindi intaccare la diversità linguistica e culturale globale. Ciò implica che in alcuni settori essenziali – come l'economia, la scienza e la tecnologia ecc. – le informazioni circolano solo in alcune lingue, con l'inglese in testa, influenzando anche, in modo dialettico, la ricerca in questi settori. Significa anche che l'accesso a tali informazioni e la partecipazione a tali attività sono consentiti solo a chi domina le lingue dominanti.
Inoltre nel ridurre il ventaglio delle possibili lingue straniere da studiarsi nelle scuole, si tende ad ostacolare uno dei principali obiettivi dell'apprendimento delle lingue straniere, che è appunto la presa di coscienza dell'esistenza di numerosi modi di vivere, di comunicare, di interagire con la natura, di affrontare e risolvere i problemi sociali, di divertirsi ecc., e quindi, in ultima analisi, una convivenza più pacifica tra i popoli. E poi, non va dimenticato un altro elemento: imparare una seconda (una terza, una quarta...) lingua fa bene per lo sviluppo linguistico-cognitivo del bambino, dell'adolescente, dell'essere umano in generale.
Quindi, al momento di scegliere la lingua straniera da far studiare ai propri figli, andrebbe soppesato non solo l'apparente maggiore prestigio e spendibilità della lingua, con ragionamenti di tipo "l'inglese è più importante per trovare un lavoro", poiché tali considerazioni si basano su false premesse. Nella scuola dell'infanzia lo sviluppo della bilinguità – non del bilinguismo – serve unica ed esclusivamente a scopi cognitivo-affettivi: migliorare la flessibilità intellettiva (il passaggio da un sistema simbolico all'altro), le abilita metalinguistiche, la creatività verbale, l'educazione all'alterità e quindi l'acquisizione di una maggiore apertura culturale, ecc.
Le lingue straniere a scuola
Nell'ambiente tutto sommato artificiale dell'apprendimento linguistico scolastico, non importa quale lingua straniera il bambino apprende ad usare, anche perché, per forza di cosa, si tratta sempre di un apprendimento molto parziale. Al limite, per il fine specifico di sviluppare determinate aree e funzioni del cervello, ma anche per la prima formazione umanistica del bambino, andrebbe benissimo anche l'avvicinamento a lingue poco valorizzate dalle nostre parti, come lo swahili.
Tuttavia, se è vero che nell'apprendere una seconda lingua, il bambino combina naturalmente la conoscenza incompleta della nuova lingua con elementi (fonetico-fonologici, lessico-semantici, morfosintattici e pragmatico-culturali) della sua lingua materna e quindi, quando lingua madre e lingua straniera condividono un alto indice di elementi di prossimità, si riduce il tempo necessario all'apprendimento, ciò significa che, nel caso di bambini brasiliani, sarebbe redditizio far studiare l'italiano piuttosto che l'inglese... o appunto lo swahili.
D'altro canto, nel caso specifico del Brasile e soprattutto del RS, l'italiano, con un approccio adeguato, lontani da scopi di valorizzazione etnico-razzista, può fungere da ponte tra presente e passato, tra la società d'origine e quella formatasi dall'incontro di diverse culture. Può per esempio avvicinare generazioni: i più anziani che parlano o conoscono passivamente qualche forma dialettale italica e i giovani che studiano l'italiano contemporaneo. Sembra pertanto innegabile che l'italiano dev'essere considerato seriamente dalle autorità competenti, come una possibile lingua straniera da inserire nei curricoli delle scuole, nel RS ed in altri stati del Brasile.
A cosa serve l'italiano?
Ma perché un adulto, nella cui scelta di una possibile lingua straniera sembrano esserci solo motivazioni più pragmatiche, di spendibilità immediata della lingua, dovrebbe scegliere l'italiano piuttosto che una lingua ipercentrale come l'inglese o una supercentrale come lo spagnolo, il cinese, l'arabo?
Secondo una ricerca realizzata dai linguisti De Mauro, Vedovelli ed al. [Italiano 2000, i pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra gli stranieri, 2002], la lingua italiana riscontrerebbe un aumentato successo nel mondo, da attribuirsi, secondo gli autori, innanzitutto al grande numero di discendenti di italiani sparsi nel mondo, a cui la legge italiana riconosce il diritto alla cittadinanza, fatto che tende ad implicare una necessità quanto all'apprendimento della lingua degli antenati. Quindi, sempre più adulti apprendono l'italiano in quanto lingua etnica.
La ricerca di De Mauro e Vedovelli mostra inoltre che tra le motivazioni segnalate dagli intervistati, l'italiano è ricercato anche come lingua di cultura. Civilizzazione romana, Rinascimento, Chiesa cattolica ecc. sono esperienze storiche più facilmente avvicinabili attraverso la lingua italiana. E poi, sono sempre più numerosi quelli che studiano la nostra lingua con scopi economici, scientifici, turistici.
Politiche e pianificazioni linguistiche
Tutte le possibili iniziative in grado di rendere più eterogeneo il quadro del mercato delle lingue straniere e migliorarvi la posizione dell'italiano sono, in ultima analisi, vincolate a decisioni politiche e ad azioni di pianificazione linguistica. È innegabile che agire sullo status della lingua nella scuola, in quanto L2, è un obiettivo essenziale. Paradossalmente, molte delle azioni di inserimento dell'italiano come L2 nelle scuole, pubbliche e private, del RS, sulla base di convenzioni firmate con associazioni locali – enti gestori di contributi governativi italiani – dopo un po' mostrano segnali di deterioramento o si dimostrano addirittura veri e propri insuccessi. Impiantato senza una pianificazione a lungo termine, che prenda in considerazione il maggior numero possibile degli elementi coinvolti – ambiente fisico, sociale e politico in cui la lingua viene inserita, risorse materiali ed umane a disposizione, livello di preparazione del corpo docente e possibilità materiali di migliorarlo, efficienza dei sussidi e delle metodologie disponibili ecc. – l'insegnamento di una lingua straniera sarà necessariamente destinato a fallire e, più grave ancora, ad essere fonte di delusione tale da mettere a repentaglio, nella comunità, lo stesso prestigio della lingua straniera coinvolta nell'esperienza fallita.
Accanto ad una pianificazione volta ad incentivare la traduzione e divulgazione della produzione bibliografica italiana in Brasile e, viceversa, di quella brasiliana in Italia, l'inserimento della lingua italiana come L2 nelle scuole costituisce anche un anello essenziale della catena che permette ai dipartimenti di italiano di sopravvivere nelle università brasiliane: senza un potenziale mercato di lavoro, pochi sceglieranno di studiare l'italiano all'università.
Le azioni di pianificazione linguistica non riguardano solo il valore funzionale della lingua come L2 nelle scuole. Possono intervenire anche sullo status della lingua come lingua dei mass media, favorendo la circolazione di giornali e riviste italiane in Brasile abbassandone il prezzo, per esempio; ma anche promuovendo programmi radiofonici di qualità, in italiano – e non in un pidgin italo-portoghese incomprensibile come succede spesso nelle trasmissioni esistenti –, con notizie non solo su un passato idealizzato, ma anche e soprattutto con una riflessione sulle questioni centrali affrontati oggi dalla società italiana e sulle produzioni artistiche e culturali più recenti.
Nella grande strategia di promozione della lingua italiana, in questo mondo del terzo millennio, sempre più economicamente globalizzato e linguisticamente squilibrato, vanno rispettate ed incentivate anche azioni come quella ideata nel 2001 da Ministero Affari Esteri e Accademia della Crusca. Quest'anno la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo ha come tema "L'italiano ed il mare". Nel corso della prossima settimana avranno luogo diverse iniziative, tra cui due film: Novomondo, di Emanuele Crialese, mercoledì 24, ore 17:30, al Centro Culturale Erico Verissimo, e Preferisco il rumore del mare, di Mimmo Calopresti, venerdì 26, alle ore 19, nella sala di cinema dell'UFRGS.
Da lunedì 22 a domenica 28 ottobre, si svolgerà la settima edizione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo. Nel 2001, Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale (organo interno al Ministero Affari Esteri - MAE) e Accademia della Crusca hanno lanciato quest'iniziativa con lo scopo di promuovere la lingua italiana su scala mondiale. Spesso quest'azione è criticata e vista come un evento ufficiale in più, caduto dal cielo, imposto dagli organi che dispongono del potere di decisione in materia di lingua. In quanto professionisti e futuri professionisti della lingua italiana, dovremmo cercare di capire cosa significa esattamente la promozione della lingua e della cultura di un paese come l'Italia, in modo da poter collaborare produttivamente ad azioni di questo tipo.
Da subito, andrebbe ricordato che, su iniziativa dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa, il 2001 – anno in cui è stata appunto istituita la "Settimana" – era stato dichiarato "Anno Europeo delle Lingue", al fine di favorire l'apprendimento del maggior numero di lingue da parte del maggior numero possibile di residenti UE. A tale progetto avevano partecipato 45 paesi membri, tra cui l'Italia, che per l'occasione aveva attivato una rete di istituzioni, pubbliche e private, come appunto la Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale, l'Accademia della Crusca, ma anche gli Istituti Italiani di Cultura, i Consolati, le Società Dante Alighieri, la RAI, il Ministero dei Beni Artistici e Culturali, le innumerevoli associazioni italiane sparse in tutto il mondo, le singole cattedre di italiano nelle università ecc.
Nel cercare di cogliere le diverse motivazioni di tali iniziative di promozione della lingua, non possiamo perdere di vista che la sorte dell'italiano a livello nazionale ed internazionale costituisce un elemento essenziale della posizione dell'Italia in quanto nazione sullo scenario internazionale, soprattutto in questi tempi di globalizzazione economica, politica, culturale e quindi tendenzialmente anche linguistica.
Il mercato delle lingue
Tra gli effetti linguistici della globalizzazione, c'è senz'altro la consolidazione dell'inglese in una posizione che il linguista francese Calvet [Le marché aux langues, 2002] chiama di "ipercentrale". L'inglese è una delle lingue più studiate e più tradotte al mondo, mentre tra i suoi parlanti nativi, si trova un numero relativamente basso di bilingui, giacché l'inglese è capito in tutto il mondo. Nella classificazione ideata da Calvet, l'italiano non è nemmeno tra le lingue cosiddette "supercentrali": davanti all'italiano, c'è il cinese, lo spagnolo, l'arabo, il portoghese, tutte lingue che hanno un considerevole numero di parlanti nativi e che costituiscono anche lingue dominanti nelle situazioni diglossiche di paesi ex-colonie, com'è il caso del portoghese in molti paesi africani, per esempio. Prima dell'italiano, c'è anche il francese, che sembra godere tuttora di un maggior prestigio a livello internazionale e che, nei grandi organismi internazionali, come l'ONU, occupa ancora un posto privilegiato.
Questo quadro geolinguistico non poteva lasciare indifferenti le autorità governative italiane coinvolte nella politica e nella pianificazione linguistiche. E nemmeno il fatto già menzionato che il predominio dell'inglese a livello mondiale, spesso presentato come ineluttabile e funzionale, rappresenta in realtà un pericolo per la configurazione geopolitica mondiale, per l'integrazione ed il progresso armoniosi dei popoli, ma anche e soprattutto, direi, per l'affermazione delle nazioni che parlano lingue considerate minoritarie e perfino, per rifarci alla classificazione di Calvet, lingue centrali come l'italiano.
La discussione non riguarda l’inglese in sé, in quanto lingua, bensì le conseguenze sociolinguistiche di una politica che chiameremo imperialistica, da parte di nazioni che hanno appunto l'inglese come lingua dominante. Va ricordato che in altri tempi, altre lingue hanno occupato il posto occupato oggi dall'inglese. Inoltre, un dibattito sano su questioni di politica linguistica deve anche prescindere da considerazioni di carattere etnico-sentimentalistico, come vorrebbe una certa ecologia linguistica, anche perché, in materia di lingua, dobbiamo spesso arrenderci alla realtà dell'ineluttabile evoluzione storica. Ciò che deve contare in ultima analisi è lo sviluppo armonico di ogni popolo e di ogni ceto sociale.
Lingua, scienza, cultura
Uno degli elementi più preoccupanti dell'attuale processo di globalizzazione linguistica è che tende a ridurre la circolazione della produzione scientifica, letteraria, artistica di alcuni popoli – quelli appunto che parlano lingue non dominanti – e quindi intaccare la diversità linguistica e culturale globale. Ciò implica che in alcuni settori essenziali – come l'economia, la scienza e la tecnologia ecc. – le informazioni circolano solo in alcune lingue, con l'inglese in testa, influenzando anche, in modo dialettico, la ricerca in questi settori. Significa anche che l'accesso a tali informazioni e la partecipazione a tali attività sono consentiti solo a chi domina le lingue dominanti.
Inoltre nel ridurre il ventaglio delle possibili lingue straniere da studiarsi nelle scuole, si tende ad ostacolare uno dei principali obiettivi dell'apprendimento delle lingue straniere, che è appunto la presa di coscienza dell'esistenza di numerosi modi di vivere, di comunicare, di interagire con la natura, di affrontare e risolvere i problemi sociali, di divertirsi ecc., e quindi, in ultima analisi, una convivenza più pacifica tra i popoli. E poi, non va dimenticato un altro elemento: imparare una seconda (una terza, una quarta...) lingua fa bene per lo sviluppo linguistico-cognitivo del bambino, dell'adolescente, dell'essere umano in generale.
Quindi, al momento di scegliere la lingua straniera da far studiare ai propri figli, andrebbe soppesato non solo l'apparente maggiore prestigio e spendibilità della lingua, con ragionamenti di tipo "l'inglese è più importante per trovare un lavoro", poiché tali considerazioni si basano su false premesse. Nella scuola dell'infanzia lo sviluppo della bilinguità – non del bilinguismo – serve unica ed esclusivamente a scopi cognitivo-affettivi: migliorare la flessibilità intellettiva (il passaggio da un sistema simbolico all'altro), le abilita metalinguistiche, la creatività verbale, l'educazione all'alterità e quindi l'acquisizione di una maggiore apertura culturale, ecc.
Le lingue straniere a scuola
Nell'ambiente tutto sommato artificiale dell'apprendimento linguistico scolastico, non importa quale lingua straniera il bambino apprende ad usare, anche perché, per forza di cosa, si tratta sempre di un apprendimento molto parziale. Al limite, per il fine specifico di sviluppare determinate aree e funzioni del cervello, ma anche per la prima formazione umanistica del bambino, andrebbe benissimo anche l'avvicinamento a lingue poco valorizzate dalle nostre parti, come lo swahili.
Tuttavia, se è vero che nell'apprendere una seconda lingua, il bambino combina naturalmente la conoscenza incompleta della nuova lingua con elementi (fonetico-fonologici, lessico-semantici, morfosintattici e pragmatico-culturali) della sua lingua materna e quindi, quando lingua madre e lingua straniera condividono un alto indice di elementi di prossimità, si riduce il tempo necessario all'apprendimento, ciò significa che, nel caso di bambini brasiliani, sarebbe redditizio far studiare l'italiano piuttosto che l'inglese... o appunto lo swahili.
D'altro canto, nel caso specifico del Brasile e soprattutto del RS, l'italiano, con un approccio adeguato, lontani da scopi di valorizzazione etnico-razzista, può fungere da ponte tra presente e passato, tra la società d'origine e quella formatasi dall'incontro di diverse culture. Può per esempio avvicinare generazioni: i più anziani che parlano o conoscono passivamente qualche forma dialettale italica e i giovani che studiano l'italiano contemporaneo. Sembra pertanto innegabile che l'italiano dev'essere considerato seriamente dalle autorità competenti, come una possibile lingua straniera da inserire nei curricoli delle scuole, nel RS ed in altri stati del Brasile.
A cosa serve l'italiano?
Ma perché un adulto, nella cui scelta di una possibile lingua straniera sembrano esserci solo motivazioni più pragmatiche, di spendibilità immediata della lingua, dovrebbe scegliere l'italiano piuttosto che una lingua ipercentrale come l'inglese o una supercentrale come lo spagnolo, il cinese, l'arabo?
Secondo una ricerca realizzata dai linguisti De Mauro, Vedovelli ed al. [Italiano 2000, i pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra gli stranieri, 2002], la lingua italiana riscontrerebbe un aumentato successo nel mondo, da attribuirsi, secondo gli autori, innanzitutto al grande numero di discendenti di italiani sparsi nel mondo, a cui la legge italiana riconosce il diritto alla cittadinanza, fatto che tende ad implicare una necessità quanto all'apprendimento della lingua degli antenati. Quindi, sempre più adulti apprendono l'italiano in quanto lingua etnica.
La ricerca di De Mauro e Vedovelli mostra inoltre che tra le motivazioni segnalate dagli intervistati, l'italiano è ricercato anche come lingua di cultura. Civilizzazione romana, Rinascimento, Chiesa cattolica ecc. sono esperienze storiche più facilmente avvicinabili attraverso la lingua italiana. E poi, sono sempre più numerosi quelli che studiano la nostra lingua con scopi economici, scientifici, turistici.
Politiche e pianificazioni linguistiche
Tutte le possibili iniziative in grado di rendere più eterogeneo il quadro del mercato delle lingue straniere e migliorarvi la posizione dell'italiano sono, in ultima analisi, vincolate a decisioni politiche e ad azioni di pianificazione linguistica. È innegabile che agire sullo status della lingua nella scuola, in quanto L2, è un obiettivo essenziale. Paradossalmente, molte delle azioni di inserimento dell'italiano come L2 nelle scuole, pubbliche e private, del RS, sulla base di convenzioni firmate con associazioni locali – enti gestori di contributi governativi italiani – dopo un po' mostrano segnali di deterioramento o si dimostrano addirittura veri e propri insuccessi. Impiantato senza una pianificazione a lungo termine, che prenda in considerazione il maggior numero possibile degli elementi coinvolti – ambiente fisico, sociale e politico in cui la lingua viene inserita, risorse materiali ed umane a disposizione, livello di preparazione del corpo docente e possibilità materiali di migliorarlo, efficienza dei sussidi e delle metodologie disponibili ecc. – l'insegnamento di una lingua straniera sarà necessariamente destinato a fallire e, più grave ancora, ad essere fonte di delusione tale da mettere a repentaglio, nella comunità, lo stesso prestigio della lingua straniera coinvolta nell'esperienza fallita.
Accanto ad una pianificazione volta ad incentivare la traduzione e divulgazione della produzione bibliografica italiana in Brasile e, viceversa, di quella brasiliana in Italia, l'inserimento della lingua italiana come L2 nelle scuole costituisce anche un anello essenziale della catena che permette ai dipartimenti di italiano di sopravvivere nelle università brasiliane: senza un potenziale mercato di lavoro, pochi sceglieranno di studiare l'italiano all'università.
Le azioni di pianificazione linguistica non riguardano solo il valore funzionale della lingua come L2 nelle scuole. Possono intervenire anche sullo status della lingua come lingua dei mass media, favorendo la circolazione di giornali e riviste italiane in Brasile abbassandone il prezzo, per esempio; ma anche promuovendo programmi radiofonici di qualità, in italiano – e non in un pidgin italo-portoghese incomprensibile come succede spesso nelle trasmissioni esistenti –, con notizie non solo su un passato idealizzato, ma anche e soprattutto con una riflessione sulle questioni centrali affrontati oggi dalla società italiana e sulle produzioni artistiche e culturali più recenti.
Nella grande strategia di promozione della lingua italiana, in questo mondo del terzo millennio, sempre più economicamente globalizzato e linguisticamente squilibrato, vanno rispettate ed incentivate anche azioni come quella ideata nel 2001 da Ministero Affari Esteri e Accademia della Crusca. Quest'anno la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo ha come tema "L'italiano ed il mare". Nel corso della prossima settimana avranno luogo diverse iniziative, tra cui due film: Novomondo, di Emanuele Crialese, mercoledì 24, ore 17:30, al Centro Culturale Erico Verissimo, e Preferisco il rumore del mare, di Mimmo Calopresti, venerdì 26, alle ore 19, nella sala di cinema dell'UFRGS.
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